sabato 10 aprile 2010

"30 anni senza stile"


L'Italia dei nostri giorni è a grave rischio di desertificazione: intellettuale, emotiva e, soprattutto, politica.


Anche tra gli scrittori c’è chi osserva e si esprime sulla surreale situazione che ci circonda. Tra questi Antonio Pascale che, nel suo ultimo saggio, traccia un quadro sconfortante del nostro Paese.

Il nostro Paese, "in trent'anni senza stile" è diventato un luogo dove nessuno si assume la responsabilità delle proprie azioni, dove alla causa non corrisponde l'effetto.

Gli anni Ottanta hanno segnato l'inizio della discesa verso l'Italia di oggi.
Craxi e il suo nuovo corpo prestato alla politica; il capitalismo che comincia a diventare azionario, quindi immateriale; la corruzione diffusa; il debito pubblico ; i vari patti con la criminalità.
Mentre la criminalità organizzata cresceva, ammazzava e prosperava, la corruzione si consolidava in sistema, gli animi si impoverivano, le donne cedevano pezzi della dignità soggettiva conquistata negli anni con la fatica, l'intelligenza e il sacrificio. Al governo si alternano Berlusconi, D'Alema, Prodi, di nuovo Berlusconi...

E siamo arrivati ad oggi...
"Questo è il paese che non amo" è la dichiarazione di disillusione che dà il titolo al libro.

Ma allora, ci potrà essere un futuro migliore?

L'autore ha sviluppato nel suo libro un ragionamento, aprendo così alla speranza.
Se le nostre opinioni sono superficiali, esprimeremo politici superficiali, che produrranno leggi superficiali, che peggioreranno l'ambiente. Così si dà il via a un circolo vizioso.
E' quindi necessario invertire questo schema. Per farlo, occorre partire da ciò che più conta: le nostre opinioni. E' necessario migliorare costantemente le nostre opinioni. Sarebbe insomma necessaria un'assunzione di responsabilità da parte dei cittadini.

Ma pare che ci manchi il metodo per affrontare in maniera profonda i nostri errori.
E' un po' come lo schema narrativo classico, i tre atti. Nel primo atto il protagonista dichiara il suo obiettivo, nel secondo fallisce, arretra e analizza i suoi sbagli, quindi nel terzo atto risolve il conflitto.

Se chiedete a uno scrittore quale atto sia il più difficile, in coro risponderanno il secondo.
Il primo è solo una dichiarazione di intenti: voglio salvare il pianeta dal riscaldamento globale, voglio amarti tutta la vita, voglio un milione di posti di lavoro ecc.
Il terzo è a tutti gli effetti un atto in discesa: una volta risolto il conflitto, l'accordo si trova.
Il secondo atto presuppone senso dell'analisi e passione conoscitiva; e un personaggio capace di dichiarare i suoi sbagli e trovare una nuova strada.

A noi invece viene a mancare il secondo atto. E dunque dobbiamo accontentarci di avere solo il primo atto: e cioè ottimismo a oltranza, e risoluzioni dei conflitti a tarallucci e vino.

Insomma, è necessario imparare a crescere. Dopo ogni esperienza deve esserci un post scriptum, una sorta di prova d'appello, che agisca da seme per far nascere il cambiamento.
E FARE DI TUTTO PER MIGLIORARE IL TEMPO CHE VERRA'.

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